Ardi (terza parte)

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  • L’inverno non tardò ad arrivare con i suoi venti gelidi e lo svolazzar di foglie.
      Per quasi un mese Ardi fu gravata da percezione ossessiva di cattivi odori, ogni minimo aroma le procurava nausea fino al vomito. Lo stimolo al vomito, anche senza percepire odori continuò a tormentarla soprattutto al mattino. In realtà non rimetteva cibo ma soprattutto boccate di saliva. Girovagando ai margini della foresta, aveva già individuato un bell'albero di magnolia assai prossimo alla pianura.
       Ardi non si sentiva mai sazia, mangiucchiava in continuazione tutto il giorno. In presenza di altri mostrava voracità e senza badare al sottile li allontanava con furore. Fortunatamente, il suo albero era situato in posizione favorevole e con facilità avrebbe trovato semi, radici e pianticelle. Certo le scorpacciate di frutta sarebbero rimaste solo un ricordo, tuttavia, sopire la fame non sarebbe stato gravoso. Inoltre, non dovendosi allontanare molto, avrebbe corso pochi rischi.
       Sulla sua magnolia vennero a vivere altri individui, alcuni stabilmente e altri solo di passaggio. Tra i suoi simili Ardi ormai distingueva, a prima vista, quelli del tutto uguali a lei da quelli che avevano la sacchetta fra le gambe. Questi erano di dimensioni maggiori, un volto facilmente riconoscibile per l’abbondante peluria intorno al viso e la bocca più ampia. Forse perché si sentiva maggiormente protetta, preferiva avere vicino quelli più grossi. Partecipava attivamente alle sedute di spulciamento
  • con chiunque si dimostrasse collaborativo.
       Una volta le accadde di sentirsi oggetto di attenzione da parte di un grosso esemplare. Questo tendeva a spulciarla con insistenza dalle parti della sua fessura. Non le fu difficile farlo saltar via dal ramo mostrando i denti e drizzando i peli del capo.
       Verso la fine dell’inverno iniziò a sentirsi diversa, appesantita e vagamente limitata nei movimenti.
       Un giorno ebbe conferma di quello che era stato solo un sospetto: la sua pancia si era dilatata perché all'interno c’era un qualcosa che andava muovendosi in lungo e in largo. Tale rigonfiamento le creava un certo impaccio e limitazione nei salti, ma si abituò a conviverci. Addirittura, se non percepiva quei movimenti, le sembrava di sentirsi ‘troppo’ sola, allora diventava inquieta e ansiosa.
       Nonostante Ardi avesse occhi acutissimi, con difficoltà riusciva a vedere dove metteva i piedi. Vide, invece benissimo il primo accenno allo spuntare dei germogli sugli alberi. D’istinto abbandonò ogni compagnia, non tollerava alcuna presenza intorno a lei. Tornò a salire sopra un ginkgo e con fare aggressivo respinse chiunque provasse a salirvi. Era fieramente intenzionata a stare in solitudine e nessuno seppe mai il vero motivo.
       Ardi sentì nostalgia della sua vecchia dimora?
      O volle tornare a nutrirsi del suo cibo preferito?
       Di certo l'ingombro del suo addome era diventato forte ostacolo alle sue abituali attività. Nelle sue intenzioni quello avrebbe dovuto essere il suo appartamento fino al prossimo inverno.
  • In realtà avrebbe abbandonato il gingko nel momento di massima capacità a produrre cibo.
       Lei non lo poteva sapere e non lo seppe mai, eppure, già all’inizio dell’autunno, avrebbe abbandonato quel posto tanto gradevole. 
      Intanto, però, il vivere le diventava sempre più difficile e la limitazione nei movimenti iniziava a interferire anche con la sua capacità di procurarsi il cibo.
       Fu di sera quando avvertì vaga sensazione dolorosa proveniente dal suo ventre.
      Si massaggiò con andamento circolare per tutta la notte e il mattino i dolori apparvero svaniti. Le sembrò logico riferire i dolori al fatto che già da qualche giorno si nutriva solo di germogli acerbi. Durante la notte successiva, invece, i dolori ripresero a ondate. Erano più acuti, ma anche questa volta scomparvero al mattino.
        La terza notte, invece, non si fermarono più.
          Fu una tortura. Gli spasimi cominciarono lievi e distanziati, poi andarono accentuantesi. Avevano un andamento ritmico. Quando si calmavano la pancia ritornava morbida e lei riusciva a trovare conforto. Ben presto i dolori si fecero ravvicinati e violenti. Si spostava in continuazione, ma nessun posto era mai migliore di quello precedente. L’intensità dolori era ormai diventata intollerabile. Infine provò a mettersi penzoloni, aggrappata al ramo, prima con le braccia e poi con i piedi.
  • Neppure con tali acrobazie trovò un minimo sollievo. Le pause fra una contrazione e l’altra si fecero brevissime e la respirazione divenne affannosa.
       Ansimava a bocca aperta e resistette immobile finché poté, ma poi dovette tornare a muoversi fra un ramo e l’altro.
        Il pallore dell’alba iniziava a levarsi quando, ormai sfinita, abbracciò il tronco dell’albero appoggiandovi la fronte.
       Era in piedi quando iniziò a sentire il bisogno di spingere in basso.
        Sentiva la pressante necessità tipica del bisogno di espellere le feci. Ideò che nel suo intestino si era ammucchiato un grosso grumo di feci e quindi doveva necessariamente sbatterlo fuori se voleva rimanere in vita.
       Raccolse le forze residue e spinse al massimo delle sue possibilità tanto da sentire gli occhi quasi uscire dalle orbite. All'improvviso sentì un rivolo di liquido scorrere lungo le gambe.
        Spossata, si mise in ginocchio e subito dopo espulse un qualcosa che andò a posarsi fra le cosce.
        Per essere feci non emanavano alcun puzzo, allora d’istinto le mani di Ardi andarono a palpare quella cosa da cui si era liberata. Ne riportò una sensazione di molliccio e caldo.
    Non si decideva a guardare cosa fosse, poi ebbe davanti a sé un mucchietto umido di carne rosea, una testolina spelacchiata e due occhioni vitrei socchiusi. Con la lingua iniziò a tirar via tracce verdognole adese al corpicino.
     Nel muoverlo si accorse che non riusciva a sollevarlo perchè    
  • trattenuto da unasorta di liana.
       Morse la corda fino a reciderla e lo liberò.
     Dopo poco, da lì sotto, le uscì ancora qualcosa, ma era informe, di color rossiccio e collegato alla stessa liana. A questa roba non dette alcuna importanza e continuò a leccare il corpicino che dopo un po’ emise uno stridulo aspro. Ne fu incuriosita e lo rigirò fra le sue mani per capire bene di cosa si trattasse. Non fece grandi considerazioni, ma non ebbe dubbi.
    Quella era carne della sua carne!
    Era sua.
    E l’avrebbe tenuta.
    Era un pezzo del suo corpo che aveva solo cambiato di posto.    Ne avrebbe avuto cura al pari di qualsiasi altra parte. Una volta asciugato, quel mucchietto di carne iniziò a tremare, allora Ardi lo strinse a sé fino a spingere la testolina contro il suo seno.
           Lei, priva di forze, si addormentò e lo tenne nascosto tra le braccia proprio come se fossero ancora un corpo solo. Nei giorni successivi, dal seno di Ardi iniziò a gocciolare del liquido. La testolina era proprio lì in grembo… e le labbra ne approfittarono subito. Quella era linfa vitale e non doveva andare dispersa.
                                   
     Fine terza parte

    Episodio tratto da un volumetto " Le Madri (I) " di prossima
  • pubblicazione"
      Una serie di racconti dal titolo"
       ­ -  Ardi
    ­ -  Lucy
    ­ -  Habilis
    ­ -  Neande e Sapien
    ­ -  La nascita del padre
    ­ -  L’Homo
    ­ -  Una madre e un padre
    ­ -  Eroismo di madre
    ­ -  Madri e Padri
    ­ -  La fabbrica delle schiave
    ­ -  Le due mogli
    ­ -  Isra, figlia di schiava, concubina per caso
    ­ -  La scuola del Maestro Uhuri
    ­ -  Argìa







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